note di regia
Marta Bulgherini
Quando mi sono decisa a iniziare l’intenso studio su Pier Paolo Pasolini, propedeutico alla scrittura dello spettacolo, mi sono ritrovata in uno stato di grande confusione: “E ora? Da dove comincio?” mi sono chiesta. La sua produzione è talmente vasta e ramificata che trovare un’ancora di appoggio da cui partire per il viaggio attraverso un autore così gigantesco non è una questione da poco.
un tutt’uno indistricabile, che rispondono in solido al nome di Pier Paolo Pasolini.
Mi sono rimboccata le maniche, e mi sono immersa in un viaggio impegnativo, a tratti ostico e stancante, a tratti illuminante. Mi sono resa conto, nel tempo, che il mio rapporto con Pasolini diventava sempre più personale. Ho iniziato a chiamarlo Paolino nelle mie letture, rubando lo stesso appellativo che gli riservava Federico Fellini. Ed ho iniziato ad arrabbiarmi con lui, quando non condividevo le sue posizioni o quando reputavo che il suo modo di esprimerle fosse anti-empatico, supponente, presuntuoso.
Con il passare dei mesi poi, devo ammettere che ho imparato ad amarlo così com’è, con le spigolosità del suo carattere, con la sua superbia e la sua sconfinata lucidità. Pasolini è diventato parte della mia quotidianità, come se fosse un amico, uno di quegli amici saggi e un po’ pedanti che con i loro suggerimenti ti danno una prospettiva sulle cose che non avevi considerato.
Cercando poi una chiave per definire la struttura dello spettacolo, ho realizzato che non avrebbe potuto essere altro che questo, il mio Generazione Pasolini: la trasposizione del mio viaggio dentro di lui, con lui, per lui, viaggio che ha vissuto e vive di rispetto, di frustrazione, di rabbia, ma anche di amore, di scoperte, di gioia. Generazione Pasolini si costruisce parola dopo parola come il mio personale e progressivo avvicinamento a Pier Paolo, che vive di un iniziale momento di distanza, di ironia e quasi di sbeffeggiamento nei suoi confronti, ma che poi, magicamente, trova il suo punto di svolta travolgendomi mio malgrado e trasportandomi in una dimensione che non avevo mai esperito prima: quella di sentire così vicino un autore che non ho avuto la fortuna di conoscere personalmente, come se fosse parte della cerchia più stretta della mia vita.
Mio malgrado, a quel maledetto intellettuale presuntuoso, devo dire un sonoro e sentitissimo grazie. Grazie Paolino: qualunque cosa sia stata, è stata bella.
Insomma, su Generazione Pasolini, nessuna frase ad effetto e nessuna garanzia sul risultato. Solo una cosa posso dire con certezza: vi prego, non aspettatevi il solito spettacolo su Pasolini. Che l’ira funesta di Pier Paolo mi colga, ma Generazione Pasolini è -e lo difende con le unghie e con i denti- un flusso di coscienza irriverente, sconcertato e sconcertante, de-divinizzante e totalmente, amorevolmente scanzonato.
Abbiate fiducia: partiamo per un viaggio d’ignota destinazione, accompagnati da domande spinose che non hanno risposte…
Ma che forse, vale la pena farsi.